mercoledì 11 giugno 2008

La biblioteca dei miei sogni di J. Highmore

“La biblioteca dei miei sogni” di Julie Highmore, Salani Editore. Titolo in originale Pure Fiction.

Il romanzo, ambientato a Oxford, Inghilterra, ai giorni nostri,narra le vicende dei partecipanti ad un circolo di lettura. Il protagonista (uso questo termine, anche se non c’è un vero protagonista), Ed, casalingo con figlia a carico, decide di aderire al circolo di lettura promosso dalla biblioteca comunale. A lui si uniscono gli altri personaggi del romanzo: Kate, Donna, Brownen, Gideon, Bob e Zoe. Tutti hanno storie diverse, ma un’unica necessità, nutrire la mente. Il circolo di lettura prende forma in una piccola comunità e la lettura diventa l’occasione per confrontarsi con gli altri, crescere e cambiare la propria vita. Piano piano le vite dei personaggi si trasformano (in meglio), fino ad arrivare all’ormai scontato happy end. Ovviamente, invece di parlare dei libri, i personaggi parlano di sé stessi.
L’autrice intreccia le storie di uomini e donne lettori di libri e il circolo di lettura diventa una valida alternativa (forse più efficace e divertente) alla terapia di gruppo.
Il romanzo mi è piaciuto molto. Come dice la frase in copertina, è stato impossibile staccarsi; l’ho letto, infatti, in breve tempo. Non so dirvi cosa ha fatto sì che il mio naso rimanesse incollato alle pagine. In realtà la trattazione dei personaggi è abbastanza superficiale, non c’è poi tutto questo scavo psicologico e alcune storie sono scontate.
Quello che mi ha attirato, forse, è stato il modo di scrivere della autrice. Intrecciando le storie di ben sei personaggi e tutti protagonisti, bisognava adottare una tecnica narrativa che non risultasse noiosa. E la Highmore ha deciso di trattare le diverse storie, non tanto approfondendo la psicologia del personaggio, ma facendo dei flash sulla vita di ognuno. In ogni capitolo i diversi paragrafi sono dedicati ad ogni personaggio ed in essi si racconta un momento della loro vita.
Questa struttura è originale (diciamo per un romanzo moderno, perchè Ariosto nel suo “Orlando furioso” ce ne ha dato un valente saggio): saltando da una storia all’altra, non ci si annoia e viene voglia di andare a scoprire cosa succederà al proprio personaggio preferito nelle pagine successive.
Questo modo di raccontare mi ha ricordato anche la tecnica narrativa di Altman, regista di cinema, famoso per raccontare nei suoi film le storie di diversi personaggi (moltissimi, nel suo caso); storie che si intrecciano continuamente e che hanno un punto di partenza comune o un fatto che le accomuna e che le attraversa tutte:ad esempio in "America Oggi" e "Il Dottor T e le donne".
Non sto ad entrare nel merito di ogni singola storia. Posso dirvi che tutte le vicende si concludono bene e nel migliore dei modi. Ognuno sembra trovare un proprio equilibrio e una propria nicchia ecologica nella quale vivere il resto della propria (felice e ideale) vita.
In realtà, però, non c’è un vero e proprio finale: la Highmore ci mostra come sono cambiate in meglio le vite dei personaggi dall’inizio, ma lascia il prosieguo aperto, come se ci fossero dei puntini di sospensione.
Come al solito, le donne sole trovano l’uomo dei propri sogni e viceversa frequentando il circolo di lettura. Che fortuna! Uno non sa cosa fare per riempire il tempo e per socializzare, si iscrive ad un circolo di lettura e, magia! la sua vita si trasforma e trova tutto ciò che stava cercando!! Mah... Insomma, questo romanzo è un po’ una variazione sul tema delle varie Bridget Jones e simili.
Una cosa, però, mi sembra positiva del libro, è cioè il messaggio che emerge tra le righe. Per cercare di cambiare la propria vita bisogna entrare in comunicazione con gli altri, creare degli scambi con le persone, cercare di aprirsi e confrontarsi. Questo perché da ognuno si può imparare qualcosa e, grazie alle esperienze, si cambia e si cresce. Non ha senso chiudersi e allontanare le persone e il mondo per paura di soffrire o di rimanere scottati. Potrebbe anche nascere qualcosa di bello, come amicizia, amore, solidarietà, collaborazione, aiuto reciproco… Poi se ogni tanto si sbatte il muso, non importa, fa tutto parte del gioco e della vita; ci si rialza, magari più forti di prima e avendo imparato qualcosa di più: non erano forse gli ostacoli che facevano crescere e cambiare? Il messaggio è molto simile a quello lanciato da Nick Hornby in "About a boy": se si perde qualcosa è per guadagnare qualcos'altro, di meglio.

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