martedì 12 gennaio 2010

IL GRANDE ENRICO di Carolly Erickson

Enrico VIII Tudor fu re d’Inghilterra e signore d’Irlanda dal 22 aprile 1509 fino alla sua morte, a cinquantasei anni, il 28 gennaio 1547. Il libro narra la storia del sovrano, dalla fanciullezza alla morte. Re sfortunato, perché non riuscì ad avere un erede maschio, nonostante le sei mogli. Dalle parole della Erickson emerge la figura di un Enrico dalla forte personalità, di grande carisma, un bell’uomo, amante dei divertimenti (soleva ripetere, pare, che l’ozio è il padre di tutti i vizi) e delle donne, abile in guerra, ma anche collerico e vendicativo. Gli ultimi due aspetti della sua personalità emergono in età avanzata. Pare che la collera e l’ira che lo ha portato a giustiziare come traditori anche coloro che gli erano più vicini (tanto per citarne uno, il suo consigliere e segretario Tommaso Moro) sia stata la crescente delusione nel non avere eredi maschi e quindi la crescente paura per il destino del suo regno e del suo popolo. Coloro che più hanno pagato per questo sono state le sue mogli. Caterina D’Aragona e Anna di Clèves ripudiate, Anna Bolena e Caterina Howard giustiziate come traditrici. Caterina Parr ha avuto solo la fortuna di sopravvivergli, perché l’accusa di eresia la aspettava dietro l’angolo.
L’unica a salvarsi dalla furia di Enrico è stata Jane Seymour, morta di parto dopo avere dato alla luce un bambino. Forse se la terza moglie di Enrico fosse sopravvissuta, la storia sarebbe stata diversa.
L’aspetto dell’epoca che emerge prepotente è che si moriva come mosche. Per il re d’Inghilterra questo era il punto fondamentale: non solo c’era il problema di dare alla luce un figlio maschio, ma poi questo bambino doveva sopravvivere e se sopravviveva, doveva essere sano e avere una salute di ferro. E allora si capisce il perché della fretta di Enrico nel divorziare e risposarsi a tamburo battente: questo benedetto erede doveva essere anche istruito nelle cose del regno e doveva essere il padre, il sovrano, a farlo.
Quello che mi ha colpito di più è che, nel leggere le vicende di un re vissuto più di cinquecento anni fa, poco è cambiato al potere. Adesso, nel 2010, nei cosiddetti paesi civilizzati non si manda più a morte un avversario politico o chi non ti sostiene, ma la violenza con la quale Enrico si imponeva alla sua corte, non mi suonava del tutto nuova: o con me, o contro di me…Dieu et mon droit

martedì 5 gennaio 2010

A CHRISTMAS CAROL di Robert Zemeckis

La storia di Dickens è nota: Ebenezer Scrooge è un vecchio avaro che odia il Natale e qualsiasi festa perché le considera solo dei pretesti per fargli sborsare dei soldi. Non ha pietà neanche per il suo aiutante, Bob: perde un giorno di lavoro per trascorrere il giorno di festa con la sua famiglia e lo deve pure pagare!
Il film l’ho visto in 3D, esperienza nuova per me, ed è stato emozionante. Pensavo di andare a vedere un film per bambini, condito con la super tecnica digitale, e invece mi sono ritrovata immersa (letteralmente, grazie ai magici occhialini) in un film per niente adatto ai più piccoli (forse il fatto che la sala era popolata da over 40 e che c’erano solo cinque ragazzini, avrebbe dovuto suggerirmi qualcosa…). E’ quasi un horror che mi ha messo faccia a faccia con le mie paure e i miei incubi.
I tre spiriti non sono per niente rassicuranti: il sussurro dello spirito del Natale passato mi ha fatto rabbrividire; la risata dello spirito del Natale presente era inquietante; l’ombra della morte, lo spirito del Natale futuro, che punta il dito scheletrico e mostra allo Scrooge/spettatore il suo destino se non cambia il suo modo di essere era terrorizzante.
Spero che l’effetto che ha fatto a me, lo abbia fatto a molti. Perché un film così fa riflettere: il mondo odierno è pieno di Scrooge, avidi e avari, di denaro, di sentimenti, di altruismo, incapaci di amare il prossimo. Probabilmente non sono così ben identificabili come ai tempi di Dickens e si nascondono dietro falsi sorrisi scintillanti e falsi gesti di generosità.
Di spiriti che ci sbattono in faccia la dura realtà ne abbiamo fin troppi, tra televisioni, carta stampata e internet. Purtroppo siamo talmente assuefatti che non ci fanno più impressione le miserie altrui. E non ci fanno più riflettere, anzi, più la realtà è cruda, più ci sentiamo fortunati nel non esserci in mezzo. Arrivederci e grazie.
La favola finisce bene: il vecchietto si ravvede, aumenta lo stipendio al suo aiutante, ricerca l’amore del nipote Fred e della sua famiglia, è generoso con l’umanità che lo circonda.
Chissà se anche per noi ci sarà un lieto fine. Non è dato saperlo. Credo che quello che può fare ognuno di noi sia interrogarsi nel profondo se esiste una piccola parte di Ebenezer nella nostra anima e porvi rimedio prima che sia troppo tardi.