martedì 13 luglio 2010

EMMA di Jane Austen

Prima di iniziare a scrivere il romanzo, pubblicato nel 1815, la Austen ha dichiarato: "Sto per descrivere un'eroina che non potrà piacere a nessuno, fuorché a me stessa". E infatti la protagonista Emma Woodhouse è descritta, nella prima riga, come bella, intelligente e ricca. Scelta interessante: è come se l’autrice avesse voluto mettere subito le carte in tavola, dicendo al lettore che quella era la protagonista, prendere o lasciare.
Emma è una giovane donna, orfana di madre, che vive con suo padre Mr. Woodhouse, un ipocondriaco che si preoccupa principalmente della propria salute e della propria sicurezza. Amico di Emma è Mr Knightley, suo vicino e cognato. Il romanzo si apre con le nozze della signorina Taylor, governante di Emma, sua amica e confidente. Emma, che ha presentato la signorina Taylor al suo futuro marito, Mr Weston, ritiene di avere il merito della loro unione e ha tutte le intenzioni di combinare un altro matrimonio, quello fra la sua nuova amica, Harriet Smith (una dolce ragazza di diciassette anni, descritta come la figlia naturale di qualcuno) e Mr Elton, il vicario del villaggio. Per combinare questa unione convincerà Harriet a rifiutare la proposta di matrimonio di Mr Martin, un rispettabile giovane agricoltore. Uno sviluppo interessante è dato dall'arrivo nel vicinato di Frank Churchill, figliastro della signora Weston, che Emma non ha mai conosciuto, ma per il quale ha un vago interesse, instillato anche dai coniugi Weston, i quali spererebbero in una loro unione.
Emma è il primo personaggio della Austen a non avere problemi economici, e per questo, come Emma stessa dice ad Harriet, ha le idee, almeno apparentemente, molto chiare e non ha nessuna intenzione di pensare al matrimonio e soprattutto ad un matrimonio senza amore:
Non ho i motivi consueti che spingono le donne a sposarsi. Se dovessi innamorarmi, allora, sarebbe diverso […] Senza amore sarei una sciocca a cambiare una posizione come la mia. La ricchezza non mi manca; le occupazioni non mi mancano; una posizione sociale non mi manca […]Non sarò una zitella povera ed è solo la povertà a rendere disprezzabili agli occhi delle persone generose le donne nubili!Una donna sola, con una modestissima rendita, diventa una ridicola e sgradevole zitella […] ma una donna sola, convenientemente ricca, è sempre rispettabile, e può essere intelligente e gradevole come qualsiasi altra persona.
Ancora una volta mi sono trovata di fronte ad un romanzo modernissimo: come in “Orgoglio e pregiudizio” la Austen ha il coraggio di denunciare il perbenismo della società Ottocentesca e la condizione sottomessa della donna, che acquisisce stima sociale solo con il matrimonio. Le sue eroine non scendono mai a patti con le convenzioni sociali dell’epoca, non rinunciano a quello che sono e che vogliono per apparenza. E tutto questo viene comunicato attraverso una scrittura limpida e scorrevole, perfetta e lucidissima nella struttura, dove ogni virgola è messa al posto giusto, dove non si ha mai la sensazione del troppo o del troppo poco.
La prima impressione che ho avuto della protagonista non è stata proprio di simpatia: il suo ficcanasare a tutti i costi nella vita degli altri, con l’intento di pilotare le vicende amorose e combinare matrimoni, spinta dalla presunzione di capire le persone più di chiunque altro, la faceva risultare un po’ fastidiosa. Il rifiutare sdegnosamente ogni dichiarazione d’amore e guardare gli uomini dall’alto in basso, come se nessuno fosse degno della sua compagnia, era irritante. Poi, però, mano a mano che leggevo e che si delineava il carattere del personaggio, ho cominciato a capirla. Non era più solo quella ragazza di buona famiglia, presuntuosa e piena di sé che la Austen voleva farci credere. In ogni occasione le sue intenzioni sono sempre state buone e mi è venuto da pensare che quando si desidera fortemente qualcosa per qualcun altro, è perché lo si desidera anche per noi stessi, solo che non vogliamo ammetterlo per paura. E così Emma, nascondendosi dietro alla sua voglia di vedere sistemate tutte le sue amiche, distoglie l’attenzione da sé stessa. La sua umanità e fragilità emerge prepotente nella ultime pagine del romanzo, quando si rende conto che potrebbe perdere l’uomo del quale si è scoperta innamorata.
Le eroine della Austen hanno sempre dei caratteri complessi e sono solo apparentemente orgogliose e ostinate. Essendo donne intelligenti e dotate di uno spirito indipendente, attraverso la riflessione e il ragionamento, riescono sempre a tornare sui propri passi e a modificare il loro pensiero, se si accorgono di avere sbagliato o ferito qualcuno.
E’ scontato dire che il romanzo mi è piaciuto molto. Alla fine, come in ogni commedia che si rispetti, si risolve tutto per il meglio, ogni cosa torna al suo posto e ogni personaggio ottiene ciò che desidera. Di fronte al lieto fine di ogni romanzo rimane, però, sempre un po’ di malinconia, perché la Austen fa avverare sulla carta tutto quello che la vita le ha negato.

martedì 6 luglio 2010

GATTACA – La porta dell’universo di Andrew Niccol

Non ebbi mai tanta certezza che la mia meta fosse irraggiungibile quanto adesso che era lì davanti a me

In un futuro “non troppo lontano” il mondo è governato dall'ingegneria genetica che divide gli esseri umani in Validi (concepiti in provetta col DNA manipolato) e Non Validi (gli altri, nati con l’antico sistema, i figli dell’amore), considerati dei paria. Per diventare cosmonauta ed essere inviato su Titano, satellite di Saturno, il Non Valido Vincent assume l'identità del Valido Jerome, finito su una sedia a rotelle a seguito di un incidente e quindi estromesso da una società che ti vuole assolutamente perfetto.
Il film richiama sotto alcuni aspetti “Agente Lemmy Caution, missione Alphaville” di Godard nel contrasto tra sentimenti e fredda tecnologia e alcuni noir e thriller degli anni Cinquanta e Sessanta. L'ambientazione, infatti, lo stile degli abiti, delle acconciature, le automobili, si rifanno ai primi anni Sessanta. Così come la recitazione, che non è mai sopra le righe e la gestualità degli attori, che è sempre controllata, a tal punto da ricordare l'eleganza di attori del calibro di Cary Grant o James Stewart o di una Lauren Bacall.
Il film è coinvolgente già dai titoli di testa, grazie anche al commento sonoro di Michael Nyman, ti prende, ti inchioda davanti allo schermo, ti commuove e ti fa riflettere. Il futuro nel quale è ambientata la storia, non è molto lontano, tutt’altro, è già qui. La manipolazione genetica non è arrivata (ancora) a tali livelli, ma abbiamo tutti la consapevolezza di vivere in un mondo diviso in persone di serie A e di serie B, che solo sulla carta hanno pari diritti e opportunità; un mondo che discrimina chi è nato meno fortunato e che pone una marea di ostacoli davanti a coloro che si vogliono riscattare.
Vincent ce la fa a riscattarsi; lui, nato con dei pessimi geni, con pochissime possibilità di vita, destinato al nulla. Sulla carta. La scienza non ha fatto i conti con la sua forza di volontà, le circostanze della vita, le sue emozioni e i suoi desideri. Deciso a sfruttare quell’ 1% di possibilità di riuscita che il destino gli ha concesso, con enormi sacrifici riesce ad entrare a Gattaca e a realizzare il suo sogno. Paradossalmente, il nato svantaggiato ha infine la meglio, grazie a qualità come la pervicacia e la forza di volontà, non ereditate dai geni, ma che sono il frutto del carattere e lo spirito di ogni essere umano.
La genetica non potrà mai sostituirsi e pilotare completamente la natura. Come dice Vincent, non esiste un gene per il destino. Non si può controllare il caso, la volontà dell’individuo, i suoi sentimenti, i suoi sogni. Ancora una volta il buon vecchio Asimov insegna: l’omologazione alla perfezione a tutti i costi non può portare a nulla di buono. Finché ci sarà la diversità, non ci sarai mai nessuno migliore di un altro.