domenica 22 marzo 2009

lunedì 16 marzo 2009

6 NAZIONI 2009: ITALIA VS GALLES 15 a 20

Roma, Stadio Flaminio, sabato 14 marzo: l'Italia non ce l'ha fatta, ma stavolta si è fatta onore sul campo, perdendo di misura con i campioni in carica. Ero sicura che i ragazzi si sarebbero risollevati da quell'inspiegabile torpore. Dopo un paio di settimane nell'ombra (il 6 nazioni sembrava scomparso dalla faccia della terra, nessuno strumento mediatico ne parlava più), hanno ritrovato un po' di fiducia e la concentrazione per affrontare una partita difficile.
Arrivo allo stadio, come mio solito, in anticipo, per godermi il clima di festa fuori, ma soprattutto per non perdere il riscaldamento degli azzurri! Come scendo dall'auto e mi avvio verso lo stadio, vedo in lontananza il pullman della Nazionale: mi fermo sul ciglio della strada, aspetto che arrivi, mi sfila davanti, saluto sorridente verso i vetri scuri, sperando di scorgere qualche volto noto...
Una volta seduta, sono pronta a godermi lo spettacolo, fiduciosa che sarà una bella partita. Il sole è caldo e c'è quella gradevole brezza romana che “fa sentire che è quasi primavera”...Gli azzurri arrivano alla spicciolata per il riscaldamento. I primi ad entrare sono Mirco e il capitano, Parisse. Poco dopo, eccolo, Mauro...si allena da solo, quasi si isola dagli altri, tiene sempre la palla in mano, la lancia, la calcia, ma la riprende sempre, stringendola tra le mani e guardandola, come se fosse la cosa più preziosa da tenere e proteggere... è pensieroso, concentrato.
A poco a poco lo stadio si riempie e si colora di azzurro e di rosso. Dopo aver ascoltato in religioso silenzio l'inno degli ospiti, la voce potente e grintosa del Flaminio si fa sentire: tutto lo stadio è in piedi a cantare a squarciagola l'inno di Mameli! Fanno male addirittura le orecchie per quanto urliamo, cerchiamo di incoraggiare la nostra nazionale e gli facciamo sentire tutto il nostro sostegno, insieme possiamo farcela!
Ore 16.00: comincia lo spettacolo! I ragazzi partono aggressivi, teniamo costantemente il possesso della palla, giocando nella metà campo gallese, andiamo in vantaggio e lo teniamo fino allo scadere del primo tempo. Tiriamo tutti un sospiro di sollievo: andiamo negli spogliatoi sul punteggio di 7 a 9 per noi, il morale è salvo!
Nel secondo tempo continuiamo a fare punti, tentiamo anche un paio di mete, facciamo qualche errore. I gallesi ne approfittano e vincono il match. Questa volta non ci sono fischi, ma solo applausi, siamo soddisfatti: abbiamo tenuto testa alla squadra campione in carica, la più forte del torneo...forse la nostra nazionale ha bisogno dei migliori per tirare fuori le unghie? forse è entrata in campo consapevole di non avere niente da perdere? Quale che sia la risposta, non importa, per noi tifosi è come se avessimo vinto, perché i ragazzi si stanno ritrovando, o almeno così sembra e vogliamo sperare che questa partita non sia un episodio isolato, ma il primo gradino di un (lungo) percorso di risalita e di crescita.
A fine partita raggiungo il cancello da dove esce la nazionale, sperando di congratularmi con qualcuno dei giocatori. Intorno a me non ci sono, come credevo di trovare, ragazzine urlanti, ma padri di famiglia, ragazzi, bambini, intere famiglie. Anche se gli addetti alla sicurezza non ci fanno entrare, tenendo ben chiusi i cancelli, qualcuno degli azzurri si avvicina...arriva Masi, che un po' timidamente ci raggiunge e concede qualche foto e qualche autografo, poi Zanni, Bortolami, Marcato. Rimango affascinata da questi ragazzi: sono sportivi professionisti, ma sembrano i classici bravi ragazzi della porta accanto, non hanno (ancora) negli occhi la malizia e la soddisfazione che ti dà la consapevolezza di essere una star. Sono sorridenti, timidi, sorpresi e spaesati, ancora (per poco) non abituati a trattare con il pubblico. Un ragazzo mi dice che gli anni scorsi, i cancelli li aprivano e i rugbisti erano felici di scambiare due chiacchiere con i tifosi. Adesso temo che quei cancelli non si riapriranno più tanto facilmente... E, infatti, come da copione, le due superstar più attese (i fratelli Bergamasco), arrivano per ultimi, salutano da lontano i pochi tifosi rimasti con un cenno della mano, salendo velocemente sul pullman, noncuranti di chi li ha aspettati per congratularsi, per strappare loro un autografo o una fotografia da tenere come ricordo di un bel pomeriggio passato a sostenere con tutta l'anima la propria squadra del cuore.

lunedì 2 marzo 2009

THE WOODEN SPOON

Parliamone…
Il Wooden Spoon (Cucchiaio di legno) è il simbolico titolo secondario del torneo di rugby Sei Nazioni e viene attribuito alla squadra che si è classificata all'ultimo posto della classifica del torneo Questo trofeo si rifà ad una tradizione dell'Università di Cambridge secondo la quale gli studenti regalavano ai colleghi che ricevevano i voti più bassi agli esami un cucchiaio di legno in segno di derisione e scherno. Fu assegnato per la prima volta ex-aequo all’Iranda e al Galles nel 1883. Da non confondere con il Whitewash ("andare in bianco"), che va alla formazione che ha perso tutte le partite, totalizzando zero punti in classifica.
Diverse sono le leggende legate a questo simpatico oggetto.
Una leggenda vuole che nei primi anni del '900 un giocatore inglese in vacanza sulle alpi svizzere comprò come souvenir un grosso cucchiaio di quelli che si utilizzavano per mescolare la polenta e, dopo la partita con l'irlanda, che in quegli anni perdeva sempre...regalò il "trofeo", da lì la leggenda del cucchiaio...
Una seconda versione vuole che il Cucchiaio di Legno sia oggi conservato in un maniero scozzese nelle isole Orkney. Eppure ogni anno il cucchiaio ricompare, come in un incantesimo, per ricompensare la squadra che si fa precedere da tutte le altre.

…tanto per doverosa comunicazione.

6 NAZIONI 2009: SCOZIA VS ITALIA - 26 a 6

E’ successo di nuovo: la nostra “piccola navicella azzurra” si è spezzata in due ed è affondata clamorosamente dopo essersi scontrata con l’iceberg scozzese. Credo, a questo punto, che il tempo della carota sia finito e che sia arrivato il momento del bastone, anzi del cucchiaio, di legno.
Gli azzurri hanno fatto una bruttissima partita. Erano nervosi, la tensione sui loro volti era palese già durante l’inno. Io sono una neofita di questo sport e non mi azzardo in giudizi tecnici. Posso solo tentare di commentare l’aspetto più evidente, quello psicologico. L’impressione che ho è che questi ragazzi stiano diventando dei “travet” del rugby e che si sentano più loro stessi e a proprio agio sotto la luce dei riflettori o quando prestano i bei visini e i fisici statuari alle pubblicità, che non in una partita.
Mi piacerebbe chiedere ad ognuno di loro se preferiscono essere ricordati per meriti sportivi o per essere stati i testimonial di campagne pubblicitarie. Per carità, il successo e i soldi non fanno schifo a nessuno (di questi tempi, poi…), è giusto che “arrotondino” per il futuro, fanno bene a godersi la notorietà, ma senza infangare l’immagine di questo sport. E, soprattutto, senza prendere in giro i tifosi. Dico questo, perché nell’ultima partita mi sono sembrati assenti e senza grinta, insomma sembra che vadano in campo perché, ormai, lo devono fare.
Nonostante tutto, però, la maggior parte di noi tifosi continua ad amare questa Armata Brancaleone, aperta a giocatori provenienti da tutto il mondo, basta che dimostrino, albero genealogico alla mano, di avere almeno una goccia di sangue italico. E, nonostante tutto, per le prossime due partite, io sarò a fare un tifo sfegatato dalla tribuna del Flaminio, perché la speranza è l’ultima a morire, perché, in fondo in fondo, sono sicura di essere smentita, perché voglio ancora crederci, non nella vittoria - sarebbe sperare in un miracolo - ma voglio credere che i nostri azzurri possano ritrovare la via giusta da percorrere per tornare ad essere dei rugbisti che giocano con carattere, passione e grande cuore.