lunedì 23 giugno 2008

I segreti di Londra di C. Augias

"I segreti di Londra" di Corrado Augias, Edizioni Mondadori.
Il libro mi è piaciuto moltissimo, non solo perché si parla di una delle mie città preferite, ma anche, e soprattutto, perché il libro è scritto proprio bene. Inutile dire che Augias si esprime in un italiano perfetto: il suo stile è giornalistico, semplice, incisivo e colto. Dalle righe traspare un uomo di cultura e appassionato: si sente che ci mette il cuore nelle descrizioni delle vicende legate alla città, si capisce che parla di una città che ha vissuto e conosciuto profondamente e non solo studiato sui libri.
Il libro è organizzato in questo modo: ogni capitolo è dedicato ad un monumento di Londra, ad esempio, la statua di Horatio Nelson in Trafalgar Square, il Globe, teatro di Shakespeare, le bellissime case del quartiere letterario di Bloomsbury, la torre di Londra, il Tamigi e molti altri ancora. Partendo dal monumento, Augias ci accompagna per le strade di Londra, svelando storie significative, sconosciute e a volte misteriose che si nascondono dietro le vie, i quartieri e i monumenti. Ogni strada diventa lo spunto per un racconto: la Torre di Londra ci porta al tempo di Enrico VIII e Anna Bolena, il Globe ai bei tempi del teatro di Shakespeare, Trafalgar Square alle gloriose imprese di Nelson, il quartiere di Bloomsbury al circolo letterario Bloomsbury e a Virginia Woolf, Baker Street a Sherlock Holmes, Abbey Road ai Beatles e i magazzini Harrods alla tragica favola di Lady Diana.
Nelle pagine del libro l’autore spazia dall’epoca elisabettiana, all’epoca vittoriana, dalla Seconda guerra mondiale, alla cronaca dei giorni nostri, passando per i favolosi anni Sessanta.
Ci sarebbe molto da dire su questo libro, ogni capitolo è affascinante e bisognerebbe parlarne approfonditamente, ma per non dilungarmi troppo, parlerò solo delle storie che mi hanno tenuta con il naso incollato alla pagina.
Le storie che mi hanno appassionato di più sono quelle di Sherlock Holmes, Jack lo Squartatore, Anna Bolena e naturalmente la lunga dissertazione sul teatro elisabettiano. Questi capitoli li ho letti tutti di un fiato, senza perdere una singola parola, una singola virgola del racconto.
Leggendo il capitolo su Sherlock Holmes, “Elementare, Watson!”, ho scoperto cose interessanti. Prima fra tutte, pare che il mitico Sherlock non abbia mai pronunciato la fatidica frase del titolo. In secondo luogo, questo personaggio di pura invenzione ha una vera e propria casa, al numero 221b di Baker Street, di fronte ad un angolo di Regent’s Park. Mi sa che sarà uno dei primi luoghi che andrò a visitare quando tornerò a Londra; sì perché la casa di Sherlock è una casa-museo: all’interno accoglie i visitatori una giovane hostess, vestita alla maniera vittoriana, come la governante di Holmes. Il capitolo racconta della figura di Sherlock Holmes, come traspare dalle righe dei romanzi di Doyle, dalle descrizioni del Dottor Watson e da come viene interpretato dalla critica: il grande detective viene descritto come un allucinato e intelligente cocainomane; Watson dice di lui: Letteratura zero. Filosofia zero. Astronomia zero. Politica: scarse. Botanica: variabili.[…] Chimica: profonde […] Suona bene il violino.
Poi Augias si sofferma sul metodo investigativo del detective, sempre visto dagli occhi del suo fedele aiutante. Questa seconda parte del capitolo è interessante, perché si mettono a confronto i romanzi di Doyle con altri autori dell’ epoca. Si scopre allora che un elemento che caratterizza i romanzi di questo autore è la totale mancanza di elementi orripilanti, come invece troviamo in Edgar Allan Poe. La cosa buffa che traspare dalla vicenda di Sherlock è che quest’ultimo è trattato dagli inglesi come un personaggio realmente esistito e la casa-museo ne è la testimonianza.
Bello e intrigante il capitolo dedicato ad Anna Bolena, giustiziata per volere del marito Enrico VIII. Qui Augias ci racconta approfonditamente il periodo di Enrico VIII e ci racconta come sono andate veramente le cose tra il re e sua moglie, cose che i libri di storia non raccontano per non dilungarsi troppo in vicende marginali, ma a mio avviso interessanti e fondamentali per comprendere la storia. Non dimentichiamoci che questi uomini e donne leggendari che hanno fatto la storia sono comunque stati esseri umani, non immuni dalle passioni che proviamo anche noi “moderni”. E allora scopriamo che re Enrico ha amato profondamente Anna, ma che dopo diversi anni, si è stufato di lei (perché non gli aveva dato figli maschi, quindi un erede) e l' ha rimpiazzata con un’altra più giovane e "sana"(Jane Seymour). La fa uccidere, decapitandola nel giardino della Torre di Londra, davanti ad una folla convinta del suo adulterio. La descrizione del momento che precede l’esecuzione è di uno sconvolgente realismo: non scherzo dicendo che sembra che Augias sia stato presente al fatto! Probabilmente questo perché non ci racconta della morte di una eroina d’altri tempi, distante secoli e secoli da noi; quella che va al patibolo è una donna innamorata con le sue paure e i suoi sogni infranti.
Come afferma lo stesso autore: Non ci sono più re e regine […]ma solo esseri umani squassati dalle loro passioni e interessi.
Il capitolo “Uno spettro nella notte” affronta la nascita del romanzo gotico, partendo da Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson e dalla figura (realmente esistita?) di Jack lo Squartatore. Viene descritta l’Inghilterra e la Londra ottocentesca, lo scenario nel quale è nato questo genere di letteratura. Il capitolo va letto tutto d’un fiato, perché è un crescendo di tensione, anche grazie a brani sinistri e lugubri riportati qua è là nella narrazione. Non mi sto ad addentrare oltre, ma vi posso assicurare che l’ultima parte affronta la figura del vampiro ed è da brivido!! Il fatto intrigante è che nella Londra di oggi si possono ancora ritrovare le atmosfere dei romanzi gotici; la Londra spettrale e sinistra che emerge dalle pagine degli scrittori gotici esiste ancora: basta andarla a cercare nelle strade dell’East Side. Pare che ci sia anche un tour che ti porta nei luoghi di azione di Jack lo Squartatore!
Tengo per ultimo il mio capitolo preferito, quello sul Globe e Shakespeare, intitolato “Uno specchio alla realtà”. Mi scuso sin da ora se mi dilungherò nel commento, ma il teatro elisabettiano è uno dei generi letterari che preferisco e Shakespeare rimane per me un mito vero e proprio.Inoltre, sono contenta di poter parlare di teatro, argomento che per chi non è avvezzo rimane abbastanza oscuro.
Partiamo dal titolo del capitolo, “Uno specchio alla realtà”, e cioè la funzione che il teatro svolge da secoli: il teatro è come uno specchio offerto agli spettatori nel quale si riflette la realtà.
La testimonianza più tangibile del teatro dell’epoca elisabettiana è il teatro detto “The Globe”, di forma circolare, sulla sponda meridionale del Tamigi, ricostruzione fedele all’originale di una decina di anni fa e voluta da un attore americano, Sam Wannamaker. Nel capitolo si parla di come veniva pensato e usufruito il teatro ai tempi di Elisabetta I e cioè nel XVII secolo. Il teatro ai tempi di Elisabetta era un veicolo di intrattenimento, di conoscenza e non solo per i ricchi: le platee elisabettiane erano formate, per lo più dal popolo; il teatro era lo spettacolo popolare per eccellenza (svolgeva la funzione che oggi ha la televisione).
Il pubblico era costituito da macellai, merciai, fornai, marinai, conciatori, muratori da tutte le categorie artigiane e operaie. Questo sì che è il modo giusto di concepire il teatro! Solo noi italiani abbiamo una visione del teatro elitario, che, ahimè, perdura ancora oggi! Ed è un male, perché il teatro non deve essere considerato un luogo dove si vanno a vedere noiosissime opere (tragedie o commedia che siano), solo perché fa “in”. Il teatro nasce principalmente come luogo delle emozioni. Il teatro, sin dall'antica Grecia, è considerato un luogo di svago, di divertimento e anche di riflessione sul mondo che ci circonda. E così dovrebbe essere ancora oggi.
La cosa che stupisce è che il pubblico elisabettiano non aveva bisogno di tanti apparati scenografici per immedesimarsi, per credere a quello che assisteva: come dice Augias su quelle tavole, con addosso degli stracci colorati, qualche pezzo di vetro, un po’ di stagnola, si mise in scena una delle più potenti e sottili rappresentazioni mai concepite dalla natura umana.
La capacità immaginativa del pubblico elisabettiano era portentosa. Ancora citando Augias: Escono tre attrici che fingono di chinarsi a raccogliere fiori e le tavole del palco si trasformano in un prato. Esce una mezza dozzina di comparse impugnando spade di legno […] il prato è diventato un campo di battaglia e quei sei figuranti sono una schiera di centinaia di uomini in procinto di battersi per vincere o morire.
Come si può pretendere da noi la stessa immaginazione, nell’era della realtà virtuale?
E gli autori che scrivevano per il teatro tenevano conto dei mezzi a disposizione per rappresentare l’opera. Un esempio per tutti: Shakespeare nel suo Enrico V esordisce in questo modo:
[…]
Può questa misera arena contenere i vasti
campi di Francia? E possiamo, questa O di legno,
inzepparla pur dei soli cimieri che atterrirono l’aria
d’Angicourt?
Oh, perdonate!, come una cifra sbilenca
può contenere in breve spazio un milione, permettete a noi
zeri di questa grande somma, di lavorare
sulla forza della vostra immaginazione
.
Forse era per loro più facile immedesimarsi perché gli autori mettevano sulla scena passioni umane di tutti i giorni, non cervellotiche e ambiziose commedie, comprensibili solo con una adeguata preparazione psico-letteraria! Si parlava sì di re e regine, ma questi venivano presentati non come personaggi del mito, ma come uomini soggetti alle emozioni ed ai sentimenti più comuni. Forse anche per questo era più facile immedesimarsi e immaginare. Shakespeare è stato un maestro in questo: a distanza di secoli, le sue opere sono ancora di una sconcertante attualità. E questo, forse perché ha parlato di uomini e di sentimenti, ci ha mostrato la natura umana così come è, e ce ne ha parlato in un linguaggio poetico, ma allo stesso tempo “semplice”, dal momento che si doveva rivolgere principalmente ad un uditorio poco o per niente colto. Augias, infatti, definisce Shakespeare come un sommo interprete dell’umanità e mai definizione è stata più calzante.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Chi fa queste recensioni dovrebbe provare a fare la scrittrice!!!!

Anonimo ha detto...

Scusate!! Mi sono espressa male, non chi fa ma bensì chi scrive queste recensioni dovrebbe provare a fare la scrittrice o curatrice di testi!!!

Roma ha detto...

L'ho acquistato per regalarlo perché mi piace lo stile letterario di Augias, sono convinta che arrivi alla mente e alle emozioni di tutti, dopo aver letto questa brillante recensione sono sicura di aver fatto la scelta giusta!

Roma ha detto...

L'ho acquistato per regalarlo perché mi piace lo stile letterario di Augias, sono convinta che arrivi alla mente e alle emozioni di tutti, dopo aver letto questa brillante recensione sono sicura di aver fatto la scelta giusta!