lunedì 22 giugno 2009

LA PARTITA DI RUGBY

Di seguito il racconto che ho mandato al "XXXVIII concorso letterario" indetto dal CONI. Lo posso postare, perchè non sono tra i vincitori, così lo condivido con voi.
Buona lettura!
Roma, 21 marzo, ore 10.00. Ci siamo! Dopo lunga attesa, finalmente oggi vedrò la mia prima partita di rugby dal vivo! Al Flaminio! E con Italia - Francia sono sicura che mi divertirò un mondo.
Certo che nelle partite precedenti abbiamo fatto proprio una magra figura… me ne sono accorta pure io, da poco appassionata di questo sport, che hanno giocato male.
Scaramanticamente nei giorni scorsi ho bazzicato tutti i mercatini di Roma per trovare un cucchiaio di legno degno di questo nome. La mia intenzione sarebbe quella di farmelo autografare da tutti gli azzurri disposti ad apporre la loro preziosa firma sul temutissimo oggetto, sempre che non me lo rompano in testa!
Tutti gli amici mi hanno preso in giro perché abbiamo la squadra più scarsa di tutto il 6 Nazioni. La domanda più frequente che mi è stata posta in questi giorni che mi separavano dalla partita è stata: “Ma perché vai allo stadio? Tanto perdono!”. Certo che chi la pensa così, di questo sport, non ha capito proprio un bel niente. Nel rugby c’è solo voglia di tifare, divertirsi e di vedere un bello spettacolo. Se la squadra avversaria vince, vuol dire che è più forte e gioca meglio. Tutto qui. E infatti io difendo gli azzurri a spada tratta e rispondo ai detrattori con un’aria da chi la sa lunga: “In questo momento delicato hanno bisogno di tutto il nostro supporto, non dico per vincere, sarebbe sperare in un miracolo, ma per fare almeno una bella partita”.
E’ già mezzogiorno! E’ tardissimo! Voglio arrivare in anticipo per toccare con mano il clima di festa tanto decantato che si respira alle partite di rugby, e poi non voglio assolutamente perdermi il riscaldamento delle squadre… volo in macchina, le strade di Roma sono deserte. “Ma dove sono finiti tutti i turisti? Non saranno mica alla partita?!”. “No, no, sono tutti a mangiare, in un baleno saremo allo stadio” mi dice zia Angy, che mi ospita per questa trasferta romana… nooo! “Mai dire le ultime parole famose, che poi ci ritroviamo imbottigliate sul Lungotevere e poi la partita me la vedo in cartolina!”. Eccoci alle colonne d’Ercole: al semaforo in prossimità del Flaminio mi si parano davanti orde di tifosi italiani e francesi festanti, muniti di bandiere, cappellini, parrucche, sciarpe, magliette, trombette, felpe, qualcuno è venuto anche in maschera, vestito da Asterix e Obelix, di rigore la bandiera della rispettiva nazione pitturata sulla faccia, ci sono intere famiglie… che meraviglia, non sembra proprio che tra meno di un’ora si disputi un incontro sportivo, sembra piuttosto di essere alla vigilia di una festa.
Come scendo dall'auto, vedo in lontananza il pullman della Nazionale: mamma mia, che emozione, quel mezzo di trasporto gigantesco e misterioso contiene tutti i giocatori dell’Italia… pensa se, per una strana legge fisica, potessi essere teletrasportata lì dentro… purtroppo tutto quello che umanamente mi è concesso è fermarmi sul ciglio della strada, aspettare che arrivi, salutare sorridente verso i vetri scuri, sperando di scorgere qualche volto noto. Ovviamente non vedo nessuno e mi sento anche un po’ stupida a salutare verso un vetro affumicato!
Mi guardo in giro: quanta gente! Devo trovare la mia entrata, mi devo buttare nella mischia, è proprio il caso di dirlo! Intorno allo stadio è pieno di tifosi e dei colori dell'Italia e della Francia, gli stand di birra e hot dog sono in pieno fermento, il profumo della carne alla griglia e la musica sono nell’aria…
DRRIIIIIN! Il cellulare! Mi affanno a cercarlo nella borsa. “Pronto?”. “Vale, sono Brunz!” “Brunz! arrivi al momento giusto! Aiuto, qui c’è un sacco di gente! Dove devo andare?” Brunz è la mia amica espertissima del luogo dove mi trovo io un po’ spaesata, perché è un' accanita fan di Bruce (Springsteen, ne esiste forse un altro?) e lo segue per gli stadi di tutta Europa. “Tranquilla” mi dice “leggi sul biglietto il tuo ingresso e portati all’entrata, poi leggi la lettera del settore, fila e posto e il gioco è fatto”. E pensare che i numeri del biglietto li sapevo a memoria da una settimana, ripetendoli dentro di me, come un mantra: “Ingresso 27, settore L, fila 18, posto 33, ingresso 27, settore L, fila 18, posto 33”.
Prendo posto nella tribuna centrale, sono vicinissima al campo! Fa freddo, tira un forte vento, ma, noncurante di questi dettagli atmosferici, sono armata di buona volontà nel tifare la nostra bella nazionale. Ovviamente sono ancora al telefono con Brunz, che, comodamente seduta sulla poltrona del salotto di casa sua, mi ha accompagnato fino al mio posticino. “Vale, c’è il collegamento dal Flaminio, dove sei?” mi chiede. “Sotto il tabellone del punteggio”, rispondo. “Sventola qualcosa, così ti riconosco!” Sventolo affannosamente il cartoncino bianco che ci servirà per la coreografia durante gli inni nazionali, urlando “Mi vedi?”. Poi, improvvisamente mi fermo, mi sento un po’ osservata…che figura, è la mia prima partita di rugby e mi faccio già riconoscere… come se fosse facile intravedere dove sono, è come cercare un ago in un pagliaio!
Lascio Brunz godersi le interviste in tv, mentre io decido di cominciare a fare il mio reportage di questa nuova esperienza, che si prospetta molto promettente, tirando fuori la mia macchinetta digitale di ultima generazione, comprata apposta per zoommare anche una formica e fare foto in qualsiasi condizione atmosferica.
I giocatori arrivano alla spicciolata per il riscaldamento. Il nostro capitano mostra il carisma che lo contraddistingue non appena entra in campo. Mi colpisce la forza di questo ragazzo: riempie tutto il campo da gioco, anche compiendo piccoli gesti. L’allenatore è impeccabile in abito scuro, ma mostra tutta la sua umanità nell’incitare i ragazzi. Poi… eccolo, il “gladiatore azzurro”… è come se il tempo si fermasse e tutto intorno a me scomparisse, c’è solo lui in campo… si allena da solo, quasi si isola dagli altri, tiene sempre la palla in mano, la lancia lontano, ma la riprende sempre, stringendola tra le mani e guardandola, come se fosse la cosa più preziosa da tenere e proteggere... è pensieroso, concentrato. Provo sulla mia pelle perché questo sport riscuota tanto successo tra il pubblico femminile. L'“effetto live” è sorprendente e la fantasia vola: i giocatori sono forti e possenti, mi ricordano le figure di Michelangelo e i gruppi marmorei di Bernini, che sembrano avere avuto come modelli questi Dieux du stade. La mia capacità di raziocinio è andata… sarà finita sulla luna come il senno di Orlando?
Mi riprendo velocemente e comodamente seduta mi godo gli allenamenti facendo qualche foto qua e là e buttando un occhio anche ai francesi, che si passano la palla, la lanciano, la calciano come se fosse la cosa più naturale e facile di questo mondo, sembrano di gomma e sono degli omoni! Intanto lo stadio si riempie. Sento diversi tifosi che si dicono tra loro di non fischiare e ripetono “Fair play, ragazzi, fair play”. Il famoso fair play del popolo del rugby.
Quando il microfono annuncia l’entrata in campo degli azzurri e li vediamo con la grinta dei gladiatori pronti alla battaglia, lo stadio esplode in un boato di gioia.
Gli steward ci dicono che dobbiamo fare una coreografia durante gli inni, tenendo bene in vista il cartoncino bianco… ma che siamo in un villaggio vacanze? Avrei scoperto dopo, riguardando la partita in televisione, che la tribuna scoperta era organizzata in modo tale da formare le bandiere delle due nazioni e che l’effetto visivo è suggestivo… poi io ero lì, dietro uno dei cartoncini bianchi, a far parte dello spettacolo!
Il momento dell’inno arriva puntuale e commovente. Cantiamo a squarciagola (pure io!e con tutti i sacri crismi: mano sul cuore e sguardo commosso) e il Flaminio si fonde in una sola voce. Il clima di festa e di gioia continua, grazie alle tifoserie mescolate, gli spalti sono colorati di azzurro e blu.
Ore 14.15: calcio d’inizio! Che emozione, la mia prima partita di rugby dal vivo! All’inizio è un po’ dura, non avendo la cronaca a portata di orecchio, ma il gioco è talmente affascinante che mi faccio coinvolgere subito dalle azioni e chissenefrega se capisco la metà di quello che sta succedendo, l’importante è tifare e divertirsi.
Il gioco scorre veloce. E’ incredibile come questi uomini, che giganteggiano sul campo, quando giocano siano leggeri ed eleganti. Quello che mi colpisce è soprattutto il suono di questo sport: quando i giocatori si placcano, si sente il loro respiro e quasi si vede il rumore del contatto tra i corpi. Dicono che il rugby sia uno sport da bestie giocato da gentiluomini, ma a me non sembra sempre così: la partita è una faticosa e ordinata costruzione del gioco dove metro, dopo metro, si cerca di conquistare la meta e dove l’arbitro orchestra e dirige le azioni. E’ pur vero che sotto quelle mischie, chissà cosa succede!
E’ indescrivibile la forza e la grinta che i rugbisti trasmettono. Il loro andare incontro all’avversario con coraggio, il loro “mettere la testa dove altri non metterebbero neanche le mani”, il loro aiutarsi a vicenda per tenere o recuperare la palla ovale, l’oggetto più importante sul campo di gioco. Mi rendo conto che il rugby mi ha insegnato e dato tanto: non arrendersi mai, andare a testa alta incontro agli ostacoli e alle difficoltà, avere il coraggio di chiedere aiuto a chi ci sta vicino, che, a volte, bisogna tornare sui propri passi per potere riprendere ad andare avanti e che, come nella vita, nessuno ti regala niente per niente. E’ come se tutto questo prendesse vita durante la partita. Basta poco e mi rendo conto di sentirmi come a casa.
Durante l’intervallo pollicizzo freneticamente sulla tastiera del cellulare, mandando sms a tutta la rubrica, voglio rendere partecipi gli amici dell’esperienza. Beh, almeno la mia nuova passione è servita a qualcosa perché sono tutti davanti al televisore e mi rispondono con i commenti più vari: “Valentinà, vive la France. Bisou.”, ma che fa, Marghe, tiene per la Francia?!?!“Mi raccomando, dopo la partita, dritta negli spogliatoi!”, si come se fosse facile… “Forza azzurri, tifa anche per me!”, il mio capo, ex giocatore di rugby, che avrebbe voluto, ne sono sicura, essere allo stadio; “Ehm, come dire, non mi sembrano molto in forma”, è come sparare sulla Croce Rossa; “Le uova alla coque si chiameranno alla Griffen”, mi scrive mio papà che guarda attentamente le partite e le commenta da tattico esperto.
Nel secondo tempo le prendiamo ancora, alla grande, perdendo completamente la concentrazione e la partita.
Però i tifosi della nazionale azzurra sono meravigliosi: anche se siamo sotto di tanti punti e la rimonta è solo una chimera, la tifoseria canta a squarciagola l’inno di Mameli. E anche a me non importa molto del risultato. Oggi ho visto uno spettacolo unico, mi sono divertita, ho fatto un’esperienza nuova.
E, infatti, dopo la sonora sconfitta, non ci sono musi lunghi, ma solo sorrisi e la voglia di festeggiare tutti insieme, italiani e francesi, di andare a bere una birra e mangiare qualcosa.
DRIIIN… “Pronto Mila, dove sei?” , la mia amica, che non è riuscita a trovare il biglietto per la partita, mi sta aspettando fuori. Raggiungiamo il cancello da dove esce la nazionale, sperando di congratularci con qualcuno dei giocatori. Non ci sono, come credevo, ragazzine urlanti, ma padri di famiglia, ragazzi, bambini, intere famiglie. Anche se gli addetti alla sicurezza non ci fanno entrare, tenendo ben chiusi i cancelli, pochi azzurri si avvicinano e un po' timidamente ci concedono qualche foto e qualche autografo. Rimango affascinata: sono sportivi professionisti, ma sembrano i classici bravi ragazzi della porta accanto, non hanno (ancora) negli occhi la malizia e la soddisfazione che ti dà la consapevolezza di essere una star. Sono sorridenti, timidi, sorpresi e spaesati, ancora (per poco) non abituati a trattare con il pubblico.
All’improvviso, assisto a una imprevista e imprevedibile trasformazione: Mila, una personcina di solito molto tranquilla, mi chiede affannosamente i nomi dei giocatori e li urla, alla caccia di una foto e di un autografo! E' tarantolata! Non la tengo più! E non ha neanche visto la partita, sennò chissà cosa mi combinava…
Un ragazzo mi dice che gli anni scorsi i cancelli li aprivano e i rugbisti erano felici di scambiare due chiacchiere con i tifosi. Temo che adesso quei cancelli non si riapriranno più tanto facilmente... E, infatti, come da copione, le due superstar più attese arrivano per ultime, salutano da lontano i pochi tifosi rimasti con un cenno della mano e salgono velocemente sul pullman, noncuranti di chi li ha aspettati per congratularsi, per strappare loro un autografo o una fotografia da tenere come ricordo di un bel pomeriggio passato a sostenere con tutta l’anima la propria squadra del cuore.
Certo che, dopo essersi sporcati le mani per ottanta minuti col fango del campo da gioco, il sudore e il sangue dell’avversario, potevano fare un ultimo sforzo e stringere la mano ai tifosi. Almeno salutare i ragazzi, che li vedono come degli eroi e dei modelli di vita da seguire; ragazzi che, magari, giocano a rugby e che un giorno sognano di diventare come loro. Almeno il capitano poteva provarci. Sono delusi, amareggiati e depressi per come è andato il torneo? E noi? Che li abbiamo sostenuti con affetto nonostante tutto e per tutto il 6 Nazioni? Ci aspettavamo solo un saluto, un sorriso di ringraziamento. Nient’altro.
Chiacchierando con qualche tifoso, infatti, c’è l’amarezza per come è andato il torneo. Per alcuni il calo psicofisico è colpa dell’atteggiamento divistico dei ragazzi, che si stanno montando la testa per qualche comparsata in televisione o per qualche copertina strappata ad una rivista patinata e che si sentono più a loro agio nudi su un calendario che su un campo da gioco. Nonostante tutto, però, la maggior parte di noi continua ad amare questa Armata Brancaleone, aperta a giocatori provenienti da tutto il mondo, basta che dimostrino, albero genealogico alla mano, di avere almeno una goccia di sangue italico.
Lo stadio si svuota e mette un po’ di malinconia, è come stare in un teatro vuoto, dove non ci sono più né attori, né spettatori, a sipario calato, a rappresentazione finita e ci sentiamo tutti un po’ orfani di questo bellissimo e nobile sport, di questa esperienza meravigliosa che è una partita di rugby dal vivo, esperienza che tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero provare.

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